Archeologi tra realtà e videogiochi

Quanto sono reali gli archeologi dei videogiochi? E quanto videoludici gli archeologi veri?

Potete immaginare due mondi più distanti tra loro di archeologia e videogiochi? In effetti sì. Tralasciando la recente invenzione dell’archaeogaming, una singolare disciplina, che sta cercando di darsi dignità scientifica, consistente nell’andare a replicare il lavoro dell’archeologo nei sempre più numerosi e complessi mondi ludici persistenti, in molti casi chi comincia a scavare per passione, poi per studio e infine, se va bene, per lavoro, anche se probabilmente non lo ammetterà mai è spinto dalla stessa sete di avventura, conoscenza ed emozioni di chi inizia a videogiocare. Poi si scopre, con un malcelato pizzico di delusione, che la realtà è ben diversa, ma quell’originaria spinta verso l’ignoto non abbandona mai chi intraprende con successo questa carriera. Non faticheremmo a portarvi esempi di persone che si sono accostate alla scienza di Sir Mortimer Wheeler perché, magari inconsciamente, affascinate dalle prodezze di Indiana Jones e dei suoi figliocci: poi hanno continuato per ben altri motivi, eppure, anche quando le dita sono abituate più al contatto con la terra che con i tasti del joypad e la quantità di schede di unità stratigrafica compilate supera di gran lunga qualsiasi ludoteca, qualcosa di inquietantemente simile rimane…

Un’analisi dell’archeologia nei videogiochi: lontanissima dalla realtà, ma con qualche sorpresa…

Lanciamoci all’avventura!

Non è un caso che i videogiochi si siano spesso e volentieri ispirati all’archeologia per costruire i propri mondi: quale attrattiva migliore al fascino per antiche civiltà scomparse, magari condito da diversi tocchi di mistero e soprannaturale? In questo facilitati dall’archetipo archeologico per eccellenza del nostro immaginario collettivo, il già citato Dottor Jones capace, subito dopo una serissima lezione all’università, d’inforcare frusta e giubbotto di pelle e lanciarsi in mirabolanti avventure alla ricerca di questo o quell’artefatto leggendario.
Il nostro Indy è stato protagonista indiscusso di decine di videogiochi, dai tie-in delle opere in celluloide sino a storie appositamente realizzate per il medium (o nate per il cinema ma poi effettivamente concretizzatesi solo in pixel, come il mai troppo lodato Fate of Atlantis), e ha talmente influenzato l’industria che oggi esistono due celebri personaggi eminentemente ludici che alla creatura della premiata ditta Lucas/Spielberg devono praticamente tutto. Avete capito di chi stiamo parlando: Lara Croft e Nathan Drake, sebbene quest’ultimo non abbia la parola “archeologo” scritta sulla carta d’identità, sono le incarnazioni più recenti, famose e attinenti al nostro campo di quella figura a metà tra lo scienziato e l’avventuriero che con gli attuali studiosi di culture materiali del passato ha, come vedremo tra poco, ben poco a vedere, ma che, e qui sta tutto l’inghippo, discende direttamente dai pionieri dell’archeologia! Tra ‘700, ‘800 e anche una non trascurabile parte di ‘900, prima che la disciplina si sistematizzasse diventando una scienza a tutti gli effetti, una pletora di esploratori con uno spiccato gusto per la storia si mise, in solitaria o magari al seguito delle spedizioni militari dei Paesi coloniali, sulle tracce delle antiche civiltà scomparse; oggi i loro metodi sono guardati con sufficienza dalla comunità scientifica, ma non c’è dubbio che figure come Giovanbattista Belzoni, Heinrich Schliemann o lo stesso Howard Carter, scopritore della tomba di Tutankhamon (e della sua maledizione?) siano alla base perlomeno di tutto quel movimento che ha poi portato alla nascita dell’archeologia moderna. Jones, Croft e Drake sono rimasti a quell’epoca: e meno male, perché un videogioco che riproducesse esattamente il lavoro dell’archeologo sarebbe veramente poco vendibile!

La X è il punto dove scavare

I nostri eroi cinematografici e videoludici vanno, esattamente come gli archeologi del passato, alla ricerca di oggetti precisi, e in particolare di tesori dall’enorme valore monetario, storico, scientifico, magari con qualche potere magico o sovrannaturale. In questo senso non c’è tanta differenza tra il tesoro di Troia di Schliemann e l’El Dorado di Drake. Nella realtà può capitare, molto di rado, d’imbattersi in oggetti preziosi e misteriosi; ma il pane quotidiano dell’archeologo è estremamente più umile. Tracce di abitazioni, resti di pasto e di lavorazioni, la litica per i preistorici, e soprattutto tanta, tantissima ceramica. Una vera invasione di ceramica: quanto più è umile l’oggetto trovato, in effetti, tanto maggiore è il suo valore scientifico. Un palazzo reale o una tomba nobiliare e i loro tesori sicuramente ci dicono tanto, ma sono degli unicum e riguardano delle élite, laddove frammenti di vasi e piatti, magari di scarsa qualità, sono capaci di rivelarci come vivevano le masse.
La differenza di fondo tra archeologi immaginari e reali è che questi ultimi, una volta individuato il sito, cercano, per quanto possibile, di non farsi idee preconcette su cosa ci troveranno; naturalmente alla base del lavoro c’è una teoria, un’ipotesi, ma la tesi si costruisce solo dati alla mano, quali che siano, e il buon scienziato dev’essere pronto anche per una completa smentita di quelle che erano le sue idee iniziali. E come s’individua il sito? I nostri eroi partono da leggende, tomi misteriosi, indizi sparsi qua e là per il pianeta: non è che lo studio delle fonti, comprese quelle più inusuali, sia estraneo all’archeologo moderno, specie per quanto riguarda quei territori, come il nostro, abitati da popolazioni che hanno scritto tanto. Per quelle epoche e quelle aree in cui non ci sono testimonianze scritte o orali, però, è necessaria una seria e a prima vista per niente esaltante ricognizione sul terreno, alla ricerca di ogni minima traccia, magari aiutati dalle ultime tecnologie informatiche e di rilevazione satellitare. Per non parlare poi del modo in cui si svolge la ricerca vera e propria: certo, Henry Jones Jr. ci tiene a che le cose che trova stiano in un museo, e nei film (molto meno nei videogiochi) assistiamo comunque a riproduzioni di uno scavo abbastanza fedeli, ma già Lara è letteralmente una “predatrice di tombe” e non si fa scrupolo a far saltare in aria, naturalmente in vista di un bene superiore, antichissimi edifici. Nathan, poi, non ne parliamo, così come non parliamo delle decine di peripezie, trappole mortali, nemici assetati di sangue che bisogna affrontare per arrivare all’obiettivo della “ricerca”. Nella realtà i nemici principali sono la polvere, la burocrazia, le avverse condizioni atmosferiche: lo scavo stratigrafico è un’operazione complessa, metodica, molto tecnica, spesso tediosa e solo a volte veramente esaltante. Si “scende” solo di qualche centimetro al giorno perché ogni cosa rimossa va prima accuratamente documentata con foto, disegni, rilevazioni varie e compilazioni di diari di scavo e schede per le autorità.

Ispirato a fatti reali

Ma se ogni cosa col tempo cambia pur mantenendo la sua natura più intima, e se gli archeologi videoludici sono ispirati agli archeologi avventurieri di un lontano passato, allora dev’esserci qualcosa nella vita di un moderno professionista che, pur vagamente, ricorda le gesta dei nostri eroi. I viaggi, per esempio. Certo, non rocambolesche avventure a bordo di idrovolanti scassati o vecchie jeep con tanto di inseguimenti e sparatorie, ma normalissimi voli di linea per le trasferte più lontane e classici treno o macchina per quelle più vicine, però il viaggio per recarsi sul luogo di lavoro diventa spesso foriero di episodi da raccontare, principalmente perché si sta insieme, si scherza, ci si conosce, ci si raccontano esperienze, in generale bisogna pur far passare il tempo in qualche modo. E i paesaggi di cui si gode viaggiando o sullo scavo potrebbero non avere nulla da invidiare a quelli dipinti dai ragazzi di Naughty Dog e compagni: siti immersi nella natura, in aperta campagna, su una spettacolare montagna o a picco sul mare, per non parlare di quando ci si reca in luoghi lontani ed esotici, poco frequentati dal normale turismo, che altrimenti non si avrebbe mai modo di vedere.
In questo modo s’interagisce con la gente del luogo, si fa amicizia, si scoprono usi e costumi completamente differenti dai propri, ci si arricchisce esattamente come fanno Indy e i suoi epigoni, nei quali riscontriamo sempre una certa saggezza ed esperienza sull’argomento. Dell’incontro di culture fa parte anche l’argomento cibo: non si arriva a dover per forza assaggiare cervello di scimmia semifreddo, ma se camminate in tutto relax coi colleghi per una città dell’Asia Centrale, state bene attenti allo street food del posto, potreste aver bisogno, subito e per molti giorni a venire, di un bagno e di medicinali per la dissenteria. Anche quando si lavora in posti più vicini, poi, potreste essere sorpresi: normalmente non c’è nulla di strano in un bel panino con la mortadella, ma come reagireste se l’anziano capo, ricco di esperienza, vi rimproverasse vedendovi lavare le mani perché “la mortadella deve assumere il sapore della terra”? C’è una cosa che inoltre non è stata mai analizzata nel dettaglio nei videogiochi, ma siate sinceri, vi è difficile immaginare uno come Nathan Drake che si scola un paio di bottiglie di vodka da solo o in compagnia? Ebbene, sappiate che una caratteristica fondamentale della figura dell’archeologo è che beve. Tanto. Sono in corso studi approfonditi per stabilire se è il lavoro in quanto tale a indurre un individuo ad assumere notevolissime dosi di alcool o se piuttosto non ci sia una tara di base che spinge una persona sia a bere, sia a scegliersi una carriera così complicata; aspettiamo i risultati, sempre che gli studiosi non vadano prima in coma etilico.

Storie vecchie di secoli

Forse non tutti sanno che la famosa giallista Agatha Christie, di cui abbiamo recentemente parlato su queste pagine, sposò un archeologo, Max Mallowan, e soleva dire: “Un archeologo è il marito migliore che una donna possa avere: più lei invecchia, più lui la troverà interessante.” La Christie e Mallowan dovevano essere particolarmente fortunati, perché la vita sentimentale di un archeologo generalmente non è tra le più lineari e serene possibili.
Settimane e mesi lontani da casa, a contatto sempre con le stesse persone, metteteci poi pure le abbondanti bevute di cui sopra sono un incentivo naturale alla creazione di situazioni particolarmente piacevoli, nelle quali ci si avventura, con puro spirito da scienziato, senza preoccuparsi troppo delle conseguenze. Potrebbe essere che uno dei due, o entrambi, ha lasciato a casa il proprio partner e non si fa, ma anche nel caso in cui i coinvolti siano perfettamente liberi, le storie tra archeologi hanno questo brutto vizio di finire male, complici i ritmi di lavoro poco normali e magari pure asprissime divergenze puramente accademiche. Indiana Jones e Nathan Drake sono due figure affascinanti, dei veri rubacuori, hanno diversi partner ma fondamentalmente sono dei romanticoni un po’ fessacchiotti, con un solo vero grande amore conosciuto, non a caso, sul lavoro. E Lara? Sono gli stessi autori di Rise of the Tomb Raider a dirci di non aspettarci presto una relazione per l’archeologa inglese: costrette ad avere a che fare con un mondo ancora purtroppo maschilista, le archeologhe devono fare il doppio della fatica dei colleghi per imporsi grazie ai propri meriti, e in casi come questi può capitare che non ci sia spazio per una storia seria. Stiamo generalizzando, certo, ma in effetti la riproduzione delle performance archeologico-sentimentali è quanto di più simile ci sia tra la realtà dei fatti e l’interpretazione videoludica, e la cosa in sé è veramente preoccupante. E visto che stiamo generalizzando, non possiamo terminare l’articolo senza un accenno a una famosa caratteristica della bella Croft: le dimensioni. Un seno come quello della nostra eroina è fortemente sconsigliabile alle aspiranti archeologhe: non solo potrebbe distrarre i colleghi, ma soprattutto, se non ben serrato con gli appositi accorgimenti, rischia di disturbare lo strato su cui si sta lavorando compromettendo irrimediabilmente anni e anni di duro lavoro scientifico.
FONTE